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Jonah che vive ancora nella balena
Mi chiamo Islam Yuksel. Sono nato nel 1990 in un villaggio dell’ex Kurdistan chiamato Mardin, ai confini con l’Irak. Nel mio paese c’è, da tanti anni, la guerra; una crudele guerra di conquista, con cui la Turchia vuole appropriarsi delle nostre terre. In questa guerra ho perso delle persone della mia famiglia. Poi, la morte di mio padre, la fame, la disperazione ci hanno spinto a fuggire via dai luoghi che amavamo e a cui sono legati i miei primi giochi. Come ci divertivamo! Giocavamo a nascondino, a conquistare posizioni nei quadrati disegnati col gesso, in cui scagliavamo le nostre pietre… Tutto è finito nel momento in cui siamo dovuti fuggire. Avevo sette anni. I miei ricordi sono un po’ lontani, ma ancora vivi, nella tristezza delle immagini che rivedo nella mente.
Con mia mamma e il resto della mia famiglia (due sorelle e un fratello, oltre a me) siamo arrivati, tra tante disavventure, ad Istanbul e lì ci siamo imbarcati su un’enorme nave chiamata “Ararat”, come il famoso monte dell’Armenia. In questa nave vecchia e scassata, eravamo ammucchiati insieme ad altre 800 e più persone; tutte disperate come noi; alla ricerca della speranza per il futuro.
Il viaggio su questa nave è stato un vero incubo. Mi dicevano che era tenuta a galla da uno strato di vestiti sistemati sul fondo dello scafo.
Tutti avevano paura e gridavano ad ogni suo sussulto. Mia sorella ha avuto tanta paura. Si stringeva a mia madre ogni volta che la navigazione diventava più pericolosa; ogni volta che la nave sembrava dovesse affondare e sparire tra le onde.
Il 17 dicembre 1997, la nave Ararat si è arenata sulla spiaggia di Soverato, in Calabria. A Soverato abbiamo ricevuto i primi soccorsi. Poi siamo stati trasferiti a Gagliato. Qui ci hanno accolto bene; ci hanno dato da mangiare; ci hanno dato dei vestiti. Io ero scalzo, mi hanno dato le scarpe; sono stati generosi. Hanno fatto curare quelli di noi che non stavano bene, tra cui mia sorella, che ha incominciato a sentirsi male tre giorni dopo lo sbarco in Calabria; da allora non si è più ripresa. Ci hanno spiegato che ha subìto un trauma durante il viaggio su quella maledetta nave.
Dopo Gagliato siamo stati accolti in una cooperativa sociale chiamata “Malgradotutto” a Lamezia Terme. In questa cooperativa siamo rimasti per parecchio tempo; fino a quando non ci siamo trasferiti a S.Teodoro, il quartiere più antico della città. A S.Teodoro, per la prima, volta abbiamo una casa nostra, anche se povera. In questa casa abbiamo, finalmente, recuperato il nostro orgoglio di famiglia, la nostra unità.
Per arrivare a casa mia, devo percorrere una stradina ripida e in salita che si arrampica verso la parte alta del quartiere. E’ una casa vecchia ma ha diverse stanze. Mia madre ha una cucina tutta per sé. Un nostro problema è ancora mia sorella. Quando viene qualcuno in casa, gli mostra i vestiti che le hanno regalato, li descrive, ride forte e parla senza quasi prendere fiato e senza dare ordine ai pensieri. Mia mamma non può lasciarla sola: ha paura che possa farsi del male o creare problemi ai vicini.
Io ho una stanza che divido con mio fratello. Dalla porta finestra, che si apre sul balcone, posso vedere sotto di me tutta la città e, lontano, il mare; una distesa azzurra e tranquilla, che trasmette serenità, diversa da quella che abbiamo navigato a bordo dell’Ararat.
A S.Teodoro ho iniziato ad andare a scuola. La scuola è diventata per me un luogo accogliente, ma far lezione, imparare sempre nuove cose non è stato sempre facile. Ancora oggi trovo difficoltà nell’esprimermi, ma voglio migliorare, impegnarmi per imparare bene la lingua italiana, per poter aiutare la mia famiglia e anche gli altri bambini curdi che frequentano la mia stessa scuola.
La scuola è diventata la mia seconda casa; ci trascorro diverse ore al giorno. Qui ho fatto nuove amicizie e ho scoperto l’importanza di conoscere la cultura della gente che ci ha accolto e aiutato.
Da grande vorrei diventare un poliziotto. So anche che questo è difficile, perché sono un curdo, ma già tante difficoltà non mi hanno abbattuto. Supererò anche le altre che verranno.
Uscirò fuori dalla pancia della balena come quel bambino, Jonah, che ho visto al cinema.

Islam Yuksel